Gjykata e apelit ka dhene vendimin me 24 vjet heqje lirie per Ish kryetarin e shtetit italian Giulio Andreotti me motivacionin:"mandant per vrasjen e gazetarit Pecorelli"
Gjykata e apelit ka dhene vendimin me 24 vjet heqje lirie per Ish kryetarin e shtetit italian Giulio Andreotti me motivacionin:"mandant per vrasjen e gazetarit Pecorelli"
SHQIPNIA E SHQIPTARVE.................
Gati tere spektri politik italian, me ne krye vete kryeministrin Berlusconi e ka kritikuar kete vendim te gjykates se apelit kundrejt Andreottit.
Me poshte po jap nje shkrim te Corriere della Sera lidhur me historine e akuzave te Buscettas.
La rivincita postuma del pentito Buscetta
di Giovanni Bianconi
ROMA - Al di lą delloceano, in una localitą segreta dello Stato della Florida, Tommaso Buscetta parlņ ai giudici di Palermo il 6 aprile 93. Parlņ anche dellomicidio di Mino Pecorelli, giornalista che navigava tra i servizi segreti e il sottobosco politico romano, fondatore e direttore della rivista «O.P.», ammazzato in una strada della capitale il 20 marzo 1979. Omicidio misterioso, che don Masino ricostruģ sulla base delle confidenze ricevute fra l80 e l82 dai boss mafiosi Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti. «In base alla coincidente versione dei due - rivelņ Buscetta -, quello di Pecorelli fu un delitto politico voluto dai cugini Salvo in quanto a loro richiesto dallonorevole Andreotti». «Secondo quanto mi disse Badalamenti - affermņ ancora Buscetta -, sembra che Pecorelli stesse appurando "cose politiche" collegate al sequestro Moro».
Da quelle dichiarazioni - successivamente corrette e «precisate» in base ai ricordi - sono trascorsi quasi dieci anni di inchieste, processi, polemiche e colpi di scena, ma alla luce del verdetto di ieri il «caso Pecorelli» si puņ riassumere tutto nelle poche frasi di Buscetta. In attesa delle motivazioni che spiegheranno il percorso seguito dai giudici per condannare Andreotti e Badalamenti assolvendo tutti gli altri imputati, quel che si puņ dire fin dora č che hanno creduto a Buscetta, e solo a lui. Hanno ritenuto riscontrate le sue accuse, a differenza di quelle giunte da molti altri pentiti, di mafia e non.
Don Masino č morto due anni e mezzo fa, negli Stati Uniti, dopo una lunga malattia e dopo le assoluzioni di Andreotti nei processi di primo grado - a Perugia a Palermo, dovč imputato di associazione mafiosa - nei quali rappresentava il principale testimone daccusa. Testimone ritenuto insufficiente, anche se non bugiardo. La sentenza di ieri rappresenta dunque una sorta di riabilitazione postuma del primo pentito di Cosa Nostra. Primo e ultimo, viene da dire oggi, visto che alla fine le condanne riguardano esclusivamente le persone «chiamate» da lui.
Non siamo alla sentenza definitiva, e nuovi ribaltoni sono possibili, ma intanto siamo a una «veritą giudiziaria» incardinata sulle parole delluomo che decise di rivelare a Giovanni Falcone i segreti di Cosa Nostra. Fino a un certo punto perņ. Ci volle la strage di Capaci e la morte dello stesso Falcone (23 maggio 1992) per far riaprire il libro dei misteri mafiosi custodito da Buscetta. Dopo quelleccidio decise di dire anche ciņ che aveva taciuto al giudice divenutogli amico, mettendo a verbale le accuse contro il presunto «referente romano» di Cosa Nostra: il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Compresa quella di essere il mandante dellomicidio Pecorelli, eseguito da sicari inviati da don Tano Badalamenti.
Da Palermo, i verbali di Buscetta furono dirottati a Roma, dove linchiesta sul delitto del giornalista stava ammuffendo in archivio. Il Gran Maestro della P2 Licio Gelli e un paio di terroristi neri erano stati inquisiti e prosciolti in istruttoria, lasciando quella morte senza colpevoli. Il fascicolo fu riaperto sulla base delle dichiarazioni di Buscetta, e fu riaperto anche il «caso Moro», possibile movente del delitto. Anche lassassinio del generale dalla Chiesa, aveva rivelato don Masino, andava ricercato nei lati oscuri del sequestro del leader democristiano rapito e ucciso dalle Brigate rosse: «Pecorelli e dalla Chiesa sono cose che sintrecciano fra loro».
Il fondatore di O.P. , che coi suoi articoli lanciava continui messaggi, aveva dimostrato di essere a conoscenza di parti del memoriale scritto da Moro nella «prigione del popolo» rimaste segrete nel 1978 e venute alla luce solo nel 90. Parti che allepoca sarebbero state occultate perché non gradite a Giulio Andreotti. Di qui la necessitą di eliminare Pecorelli, per sfuggire ai suoi ricatti. Questa - in soldoni - laccusa messa insieme dai pubblici ministeri romani che perņ dovettero cedere linchiesta ai colleghi di Perugia; un pentito della Banda della Magliana, gruppo criminale che si muoveva tra Servizi segreti, mafia, camorra e terrorismo nero come i pesci nellacqua, aveva infatti svelato che dietro lomicidio Pecorelli cera il magistrato romano, poi senatore democristiano «fedelissimo» di Andreotti, Claudio Vitalone.
Altri pentiti di quella stessa banda fecero i nomi dei killer: lex-terrorista riciclato nella criminalitą comune Massimo Carminati e un siciliano arrivato per loccasione da Palermo, tale «Angiolino il biondo», riconosciuto in fotografia nel mafioso Michelangelo La Barbera. Con in pił un elemento materiale molto suggestivo, gią acquisito agli atti dellinchiesta: il proiettile che uccise Pecorelli proveniva quasi certamente da un arsenale clandestino usato da terroristi neri e Banda della Magliana.
La saldatura tra lindicazione del killer mafioso e le dichiarazioni di Buscetta permise di costruire la catena dellaccusa da Andreotti ai sicari, attraverso una serie di anelli intermedi, tra i quali un altro «uomo donore» dai solidi legami romani, Pippo Calņ. Accusa che perņ non resse al processo di primo grado: tutti assolti. Perché non cerano prove dirette, non perché i pentiti avessero mentito. Lo stesso Don Masino, sicuro delle sue affermazioni, non era convinto del coinvolgimento di Calņ e La Barbera, e lo disse. Ora i giudici dappello hanno deciso di credergli e di considerare riscontrate solo le sue dichiarazioni, spezzando in due la catena dellaccusa. La parte romana della ricostruzione č caduta, quella siciliana č rimasta. Perché č possibile individuare i mandanti di un delitto senza arrivare agli esecutori, soprattutto quando cč di mezzo la mafia. Quella raccontata da Tommaso Buscetta.
18 novembre 2002
OP, IL GIOCO PESANTE DENTRO IL POTERE
Pecorelli, un giornalista conoscitore e frequentatore dei «serragli» segreti della Prima repubblica
18 novembre 2002
di Filippo Ceccarelli
A ripensarci bene, era ben strana anche la pubblicitą: «Op, una raffica di notizie», con tanto di fori di proiettile a disegnare il logo della testata. Quando si dice la pił cupa preveggenza. E non l'unica. A qualche mese dalla sua fine, l'avvocato molisano Mino Pecorelli, giornalista, pirata, conoscitore e frequentatore di tutti gli angiporti della Prima Repubblica, pubblicņ sulla sua rivista una noticina «a futura memoria» - proprio cosģ volle intitolarla - dopo aver ricevuto delle minacce: «I nostri lettori e coloro che ci stimano - scriveva con un incongruo plurale majestatis - saprebbero riconoscere immediatamente la mano che ha armato chi vorrą torcerci anche solo un capello».
TROPPI MANDANTI. E invece quando poco dopo arrivņ il momento, non ci fu uno solo dei suoi lettori in grado di riconoscere la mano assassina, ma anzi andņ in scena una sinistra e immaginosa proliferazione dei possibili mandanti. Chi disse Gelli, chi la Guardia di Finanza, chi i terroristi rossi, i neri, la mafia, i petrolieri e gił gił, fino ai falsari di De Chirico e ai mercanti del porno. Del resto Pecorelli aveva troppi amici e nemici; e inoltre appariva assai mobile negli affetti, litigava e faceva la pace con estrema facilitą. Era un uomo gentile, anche colto, mediamente di buon gusto, forse appena un po' troppo abbronzato. Ma viveva nello stesso serraglio alienante dei capi ed ex capi dei servizi segreti, i Miceli, i Mino, l'ufficio I delle fiamme gialle, gli Affari Riservati del Viminale, Dalla Chiesa, la P2. Non solo loro, ovvio. Ma quelli valgono il triplo. «Si sentiva l'unico in Italia a poter attaccare certe persone». Quasi un epitaffio questo del generale Maletti: «Pecorelli aveva una baldanza che gli piaceva, si divertiva immensamente in quel suo gioco». Era un gioco pesante all'interno del potere. Quando venne interrotto, la sera del 20 marzo 1979 in una strada buia dietro piazza Cavour, Panorama pubblicņ in copertina la scena del delitto e la scritta: «Questo morto non vi farą dormire». A 23 anni di distanza non c'č alcuno che possa smentire quell'altra profezia. Se non fosse finita cosģ, con una revolverata in bocca, a bruciapelo, e poi un altro paio nella schiena, il vetro dell'automobile spezzato, la portiera aperta e sangue dappertutto, ecco, se non ci fosse di mezzo un cadavere sarebbero pił leggeri questi quattro cinque chili di riviste con le loro copertine a colori.
UNA RAFFICA DI NOTIZIE. Le immagini che secondo Pecorelli dovevano catturare l'attenzione all'edicola non erano un capolavoro di eleganza editoriale. Erano composizioni fotografiche che scimmiottavano lo stile del Borghese. Ma sarebbe improprio schiacciare Op sull'estetica trash, perché il vero richiamo, la cifra autentica di quel giornalismo allusivo e predatorio divenuto ormai quasi proverbiale, «alla Pecorelli», risiedeva semmai negli «strilli di copertina». E allora, a caso: «Esclusivo! Altri 12 ministri all'Inquirente»; «Devono cadere altre teste», «Pronto, chi spia?» (con Marilyn al telefono, sulle intercettazioni), «Forniture militari, la torta armata», «Petrolio & manette», «Raffinerie e contrabbando», «La banda del tubo all'assalto della pompa», «Gli assegni del Presidente», «Caso Moro: memoriali veri, memoriali falsi, gioco al massacro», «La Gran Loggia Vaticana» (un classico), «La grande fumata» (sui fascioli del Sifar), «Dove va la Sicilia» (altro evergreen con foto di Gheddafi), «Andreotti ha coperto Giannettini, ecco le prove». Andreotti, appunto: inutile ogni tentativo di comprendere ed esaurire l'argomento. Oltre a quintali di atti giudiziari e alla collezione di Op settimanale, su Pecorelli esistono almeno cinque libri, pił l'antologia dei precedenti scritti (da Op quotiano) curata da Franca Mangiacca, oltre 1.100 pagine, purtroppo senza indice dei nomi. In tutti questi testi si trova scritto che un certo giorno degli anni ottanta, durante un certo processo capitato nel mezzo di un certo scontro tra le correnti dc, uno degli uomini di fiducia di Aldo Moro, e cioč Sereno Freato, pronunciņ una frase sibillina che spostņ l'attenzione sullo scudo crociato. Disse dunque Freato: «Mica lo abbiamo ammazzato noi, Pecorelli». Ed č possibile che con «noi» intendesse «noi morotei». Anche in politica era un giornalista sfuggente. Nipote di un carabiniere che aveva preso il posto del papą morto assai giovane, sicuramente «occidentale» (giovanissimo, aveva risalito il fronte con l'armata del generale polacco Anders), Pecorelli aveva anche bazzicato i ministri del Psdi. Perņ il potere vero, e come tale la vera fonte di notizie e di intrighi, era la Dc. E le sue diramazioni, le sue filiere all'interno degli enti pubblici, degli apparati di sicurezza, delle stesse istituzioni.
QUIRINALE MASSACRATO. Nella scrittura indulgeva alla lamentazione civile; il suo era uno stile pieno di ahimé, ahinoi, o tempora o mores. Perņ conosceva anche l'arte dell'insinuazione e sapeva essere caustico come la soda che stura i lavandini e magari rompe i tubi. Ma soprattutto era informatissimo. Si tende a dimenticarlo, anzi a rimuoverlo perché č un argomento scomodo, anche sul piano storiografico. Ma Pecorelli fece moltissimo, per molti versi fu decisivo nella feroce campagna di delegittimazione che tra l'inverno del 1977 e il giugno del 1978 portņ allo schianto della Presidenza di Giovanni Leone. Ancora oggi si preferisce addebitare quelle dimissioni al bestseller della Cederna (costruito in gran parte sui materiali di Op), o agli articoli dell'Espresso, o al lavacro dopo il ritrovamento di Moro a via Caetani, al risultato dei referendum, al voltafaccia di Zaccagnini. E tuttavia, prima di tutto questo, Pecorelli aveva letteralmente e crudelmente massacrato il Quirinale senza davvero trascurare alcun aspetto, compresi i pił calunniosi. Fino a quando Leone dovette andarsene. Questo esito gli aveva dato nei palazzi molto potere, del genere meno simpatico, quello minatorio. Ma č anche probabile che l'avesse frustrato, dopo «sette anni di guerra» la mancanza di un riconoscimento, anzi che il merito della cacciata di Leone se lo fossero preso altri. Ulteriore stimolo ad aumentare la posta in quel suo gioco insieme generoso e pericoloso, romantico e bieco.
LA TATTICA DEL QUADRO. In pił non l'aiutava il fatto di essere volubile e intermittente. Per tornare alla Dc era a favore e contro Bisaglia, a favore e contro Andreotti. In entrambi i casi, oltretutto, queste «simpatie» o «antipatie» correntizie si accendevano o si spegnevano per ragioni economiche. Spesso Pecorelli non aveva di che far uscire il giornale e perciņ andava a bussare a quattrini dagli andreottiani (nella persona di Franco Evangelisti) o dai dorotei. In pratica chiedeva abbonamenti, finanziamenti e regalie. A volte implorava, a volte pretendeva. Come ogni giornalista ben sa, nei rapporti con i potenti gli articoli pubblicati o meglio ancora da pubblicare possono collocarsi lungo un arco di sentimenti che dalla pił cordiale lusinga, altrimenti detta «marchetta», arriva fino alla minaccia vera e propria. Ossia: o ci mettiamo d'accordo o ti svergogno. Ha raccontato una volta alla Commissione P2 Federico Umberto D'Amato, direttore degli Affari Riservati del Viminale, che per mettersi d'accordo Pecorelli usava «il sistema del quadro». Andava cioč dal politico, gli diceva che aveva pronto un terribile articolo contro di lui, e certo gli dispiaceva di pubblicarlo, ma siccome il giornale era in difficoltą, non gli era rimasto che un quadro da poter vendere. Se il politico era interessato a quel quadro, la cosa si poteva accomodare. Si peritņ di aggiungere D'Amato che i famosi quadri erano riproduzioni acquistate al Poligrafico dello Stato. Ma quando quella sera il killer con l'impermeabile bianco gli fece tņc-tņc sul parabrezza, Pecorelli non navigava certo nell'oro. Né gli servģ la pistola che teneva nel cruscotto della sua Citroėn.
SUPPOSTE E PROIETTILI. Tutto questo, per i giudici di Perugia, non esula dunque dai rapporti con il «Divo Giulio», o con il «Biscione», che era l'altro nomignolo di Andreotti su Op. Agli atti del processo ci deve essere anche un incredibile carteggio tra i due, a base di farmaci contro il mal di testa, malattia condivisa da entrambi. Pecorelli ringraziņ per l'invio di un rimedio: «Sono fidente che il futuro possa accomunarci, oltre che nella sofferenza cefalgica, anche nella difesa dei grandi ideali della giustizia e della democrazia, attraverso un rapporto che, sorto cosģ singolarmente da "supposte", sia sincero, duraturo e reciprocamente fiducioso». Ma davvero non si sa mai in che modo il futuro puņ accomunare due persone.
Si e shpjegoni kritikat e politikaneve italiane ndaj vendimit te gjykates kundrejt Andreottit ?
Rast interesant ky, ku nje bendim gjykate kritikohet pothuaj nga i tere spektri politik italian.
Kritike e drejte.Eshte gabim proēedure.Nuk mund te denosh dike si dergues pa patur ate qe eshte derguar nga Andreotti.Me pak fjale nuk ekziston "body of evidence"apo "corpo del reato"
Andreotti eshte fajtor por ne nje vend demokratik nuk mund te denosh dike vetem se ke bindjen qe ai eshte fajtor.Duhen provat.
SHQIPNIA E SHQIPTARVE.................
Hmmm per mua keto fakte te pa baza nuk qendrojne sepse po bejne si ket ne shqiperi qe NaNO akuzon Klosin per shfrytezim detyre mbasi ai kambaruar pune me detyren e tij si drejtor i SHIK ose sherbimi informativ shqiptar!
Absurditet.....JeTa
A eshte e vertete qe Buscetta ka deklaruar dy here , nje here gjate proēesit gjyqesor te pare ne salle, se nuk ehste Andreotti "mandati" i vrasjes, dhe te dyten ne nje interviste nje gazete, ku te njejten gje theksoi, qe nuk eshte Andreotti ai, per te miren e te cilit u vra gazetari Pecorreli.
Berti,
pse eshte fajtor Andreotti ne kete vrasje ?
Jo mo nuk eshte fajtor Andreotti ne kete vrasje!Lidhjet e DC me mafian kane 20 vjet qe jane provuar egziston edhe nje pakt i nenshkruar nga te dyja palet.I vetmi qe pati interes politik nga vrasja e Morros dhe e Pecorellit ishte pikerisht Andreotti puthja e famshme ishte nje pakt tjeter qe doli tanime.Duhet te ndodhesh ne nje pozite te veshtire kur je per burgimin e Klosit e te duhet te gjykosh per Andreottin.Se di si funksionojne konceptet i djathte i majte ne kesi rastesh ma shpjegoni pak ju lutem!Qekur vendoskan politikanet per nje ceshtje penale.Andreotti kishte mjetet(mafian),shkakun (Il movente) dhe perfitimet ne kete vrasje
pastaj gjykatesit italiane sbesoj se jane pak si puna e Ngjeles.
Te vetmet pushtete qe politika nuk mund te kontrolloje ne menyre direkte jane DREJTESIA dhe MEDIA. Nese gjykata e apelit doli me nje vendim te tille, dhe nese politikane e njerez mendojne se vendimi eshte i gabuar, kjo ceshtje mund te kaloje ne gjykaten e larte. Gjykata e larte mund te jape edhe vendimin perfundimtar.
Nuk ka vend per kete ceshtje per komente nga politikanet italiane. Vetem pasi drejtesia te perfundoje procesin e saj te nisur, atehere njerezit dhe politika mund te bejne komentet dhe verejtjet e veta.
"Babai i shtetit ėshtė Ismail "Qemali", e zbuloi Edvin shkencėtari!"
Si s'ka vend per komente Albo ?
Andreotti ka qene 7 here kryeminister i Italise, plus 33 here minister dhe ka prej disa viteve qe eshte Senator i Perjetshem. Ai eshte nje nga figurat kryesore te Italise post Luftes II Bot.
Ka qe ēke me te vend per komente.
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