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    Mesapėt, ky popull i mrekulluesshem ilir

    Nje popull qe i ofroi shume gadishullit apenin .

    Lexova se ishte nje popull qe gjate gjithe historise se tyre nuk sulmoi asnje ,por vetem u mbrojt .Prandaj edhe qytetet e tyre kishin mure te medha.

    Njihen 3 mbreter ,Opis, Artas, Mesapis ..

    Qyetet Manduria, Oria, Brundisar (Brindisi) etj.
    Fotografitė e Bashkėngjitura Fotografitė e Bashkėngjitura  
    Ndryshuar pėr herė tė fundit nga Qerim : 19-03-2005 mė 19:14

  2. #2

  3. #3
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    Le donne di Messapia



    Alcune singolari caratterizzazioni femminili, evidenziate in multiformi scene pittoriche e descritte da diversi autori classici, veicolano, a tratti, l'idea di una donna affrancata dal suo millenario ruolo di subalternitą e di sottomissione all'elemento maschile. Potrebbero, pertanto, sorgere dubbi su una tale tipizzazione in un'epoca storica tanto remota; ma l'ambiente cosģ delineato puņ certamente riferirsi ad un importante aspetto della cultura epicorea dell'antico Salento. Le documentazioni archeologiche e le numerose iscrizioni epigrafiche ci rivelano alcuni segreti di un mondo in cui la donna aveva senz'altro un ruolo molto importante e certamente molto meno subordinato di quanto si possa immaginare. Le informazioni dedotte ci rivelano diverse sfaccettature dell'ambito femminile che offrono allo studioso di oggi interessanti profili culturali di un'epoca intrisa di misteriosi costumi ed usanze che furono alla base di una vera e propria civiltą, quella messapica. All'apice della scala sociale c'era la donna di alto rango che godeva a pieno titolo dei diritti di cittadinanza e poteva anche assurgere a rilevanti cariche politiche e diplomatiche nel quadro delle giurisdizioni locali o di quelle confederate. Č comunque ampiamente condiviso che essa svolse diversi ruoli e varie funzioni in seno alle organizzazioni tribali dell'intero territorio salentino. Fu quindi reggente, principessa, eroina, ambasciatrice, cavallerizza, amazzone, sacerdotessa, vergine consacrata alla dea



    Thana Sasynide, al dio Bąlakras di Sallentia, a Thąotor, ad Artemis Bendis o ad altre venerate divinitą; ma fu anche una donna comune, che si dedicava alla cura del proprio focolare domestico o alle diverse attivitą quotidiane che riguardavano comunque l'ambito familiare. Non era insolito, perņ, che la stessa donna, che fungeva da amministratrice della casa, da mamma e compagna dell'uomo, fosse chiamata a compiere anche pesanti lavori nei campi e in altri settori produttivi in forma autonoma insieme al marito o alle dipendenze di ricchi possidenti che altrimenti non avrebbero potuto espandere le proprie attivitą economiche. In Messapia non esistevano veri e propri schiavi o erano talmente pochi che non costituivano certamente un fenomeno sociale da prendere in considerazione. La formazione della composita etnia messapico-salentina, come diversi autori classici e moderni hanno riferito, fu il risultato di un lungo processo di aggregazione che si concluse verso il V sec. a.C., dopo una lunga e stratificata colonizzazione che dall'etą protostorica e quella del ferro si protrasse nei secoli successivi fino a quando non fu raggiunto un adeguato livello culturale ed amministrativo che sancģ la nascita di una vera civiltą autonoma. L'originario ceppo etnico peninsulare si fuse nel tempo con l'elemento cretese-miceneo, poi con quello illirico-japigio, ed infine con le diverse genti elleniche provenienti delle sponde orientali e dalle isole del Mare Jonio. Durante la prima fase, i precedenti abitatori della penisola salentina, sottomessi dai nuovi arrivati, furono probabilmente tratti in schiavitł; ma con il passare delle generazioni, anche essi trovarono il modo di essere liberati dal loro stato di inferioritą e di prendere parte attiva e in condizioni di paritą alla vita sociale delle nuove entitą territoriali.





    Č pur certo che maestranze specializzate autoctnone e straniere siano state impiegate per la realizzazione di grandiosi monumenti, ma č altrettanto ammissibile che numerosi manuali locali che svolgevano umili lavori a pagamento erano utilizzati a tale scopo e fra questi non erano ovviamente risparmiate le donne che assolvevano compiti ausiliari, ma pur impegnativi al fianco degli uomini. Il lavoro manuale delle donne, che, di solito, facevano parte di nuclei familiari meno abbienti, era considerato encomiabile ed accettato dalla societą del tempo. Esse erano ripagate in porzioni di grano, olive o altri generi di primario consumo. In questo modo, i membri delle classi sociali pił povere, privi di risorse essenziali per condurre una vita decorosa, attendevano con piacere l'inizio di grandi opere perché rappresentavano per loro un sicuro sostentamento per tutto il tempo che occorreva alla loro ultimazione. Le classi dominanti erano, invece, costituite dalle famiglie pił nobili delle comunitą messapiche, i cui capostipiti si erano distinti nelle epoche precedenti sia per meriti di guerra sia per importanti ruoli politici ricoperti. Essi si assicuravano in tale modo il totale rispetto della popolazione e un'abbondante fortuna economica. Quell'antico assetto sociale non escludeva comunque dai benefici le famiglie emergenti che potevano trovare un giusto collocamento all'interno delle comunitą grazie alle benemerenze di alcuni loro esponenti. Si puņ, quindi, rilevare che esistevano diverse tipologie di donne caratterizzate dal loro ceto sociale; tutte, perņ, erano parte integrante di un'etnia al cui vertice c'era il wanax o curione che aveva il compito precipuo di salvaguardare la concordia e la pace fra la sua gente. Nel quadro generale della civiltą messapica, il modus vivendi delle donne di famiglie povere era quindi condizionato dallo strenuo lavoro



    che esse erano tenute a compiere perché costrette dalla precarietą economica del loro ambiente particolare; mentre, molto pił allettante era invece l'ambiente nel quale vivevano le figlie e le consorti di abili artigiani, di ricchi fattori o grandi allevatori. Esse potevano assumere la loro parte di comando all'interno delle attivitą familiari e impartire ordini ai braccianti che lavoravano presso di loro. Le fanciulle di alto rango erano le vere elette dalla fortuna, poiché il loro stato era talmente riverito che potevano permettersi ciņ che a molte altre era proibito. Esse potevano dedicarsi alle attivitą ginniche, come le donne di Sparta, e potevano prendere parte ai diversi consessi alla presenza di uomini, senza essere marchiate con l'epiteto di donne di facili costumi. L'alto lignaggio permetteva loro di condurre uno stile di vita pił appagante e concedeva aspettative coniugali che ben si uniformavano con le prerogative dinastiche della propria stirpe. Ogni capo famiglia della classe dominante contemplava quindi unioni fruttuose e foriere di prolifica prosperitą per le proprie discendenti. Menandro nel "La fanciulla dai capelli corti", ci rappresenta l'engyesis, fra il kyrios, in questo caso il padre della sposa, e il pretendente. L'engyesis era essenzialmente un accordo, una convenzione orale, ma solenne. I due contraenti si scambiavano una stretta di mano e qualche frase rituale molto semplice. Si trattava, quindi, di una promessa di matrimonio molto vincolante che creava gią solidi legami fra il pretendente e la futura sposa. Era necessario inoltre che tale accordo fosse stipulato alla presenza di testimoni che legittimavano l'esito di quella convenzione orale. Il padre di famiglia aveva diritto assoluto sulla sorte dei figli prima del matrimonio e poteva anche venderli senza essere tacciato per questo di dovere improprio verso la prole.





    Questa pratica era molto diffusa anche in varie regioni elleniche e nei territori balcanici prospicienti la penisola messapica. Dal V sec. a.C. in poi era lo sposo che riceveva la ricca dote nuziale secondo le diffuse usanze dell'epoca; probabilmente l'esistenza della dote serviva a distinguere un matrimonio legale da un contratto con una concubina. In etą omerica invece era il pretendente che offriva doni al suocero divenendo tale atto un vero e proprio contratto di acquisto della figlia. La cerimonia dell'engyesis si svolgeva presso l'altare domestico attribuendo in questo modo a tale evento una sacralitą ed una solennitą che suggellavano l'importante pronunciamento. Secondo le informazioni di Demostene in "Contro Boeto" e in "Contro Afobo", il padre del giovane in etą di matrimonio gli sceglieva per sposa colei che meglio di altre avrebbe potuto dargli dei nipoti sani e belli. Č evidente che in questi casi egli sceglieva la moglie per il figlio in famiglie ricche o benestanti che avrebbero garantito una considerevole dote alla propria figlia. Non era inusuale che un giovane sposasse una componente della stessa famiglia, prima cugina o sorellastra, per non depauperare le risorse familiari e meglio conservare il proprio patrimonio. Dal profilo rituale, dopo l'engyesis, si passava alla consegna della donna allo sposo, ma era la consumazione del matrimonio che offriva la garanzia allo sposo e alla sua famiglia che la donna ricevuta in moglie aveva conservato la verginitą fino a quel momento ed era quindi pronta a generare figli legittimi che avrebbero dato calore e fortuna alla propria casa. Secondo la tradizione di molti popoli autoctoni e secondo quanto ci riporta Plutarco nel "Dialogo sull'amore", il giorno delle nozze (gamos) si teneva un banchetto e un sacrificio nella casa del padre della sposa.



    Quest'ultima era velata, con una corona in testa, ed era circondata dalle sue amiche e al suo fianco stava la ninfeutria, una donna che la guidava e assisteva nella cerimonia del matrimonio. Il pasto includeva cibi tradizionali e i dolci di sesamo erano garanzia di feconditą. Il festoso avvenimento si concludeva con l'offerta dei doni da parte degli ospiti e la sposa poteva a quel punto togliersi anche il velo. Anche da sposata, la donna messapica di alto lignaggio disponeva di un grande margine di libertą e poteva continuare a coltivare le sue passioni giovanili. Come abbiamo gią accennato, essa poteva anche svolgere attivitą fuori dal tetto coniugale e prendere parte ai riti religiosi che si svolgevano durante l'anno. I lavori di casa, erano demandati a donne di servizio che, di solito, vivevano all'interno della struttura familiare. Nel caso la donna di casa fosse in periodo di gravidanza, ella conduceva una vita pił ritirata fino al parto. In Atene, invece, le donne rimanevano nei ginecei che non erano chiusi a chiave (tranne la notte), ma erano privi di finestre con grate, anche se il costume era sufficiente per trattenere le donne in casa. Affermava Euripide nella "Medea": - una donna deve stare in casa; la strada č per la donna da nulla -. Durante le tesmoforie (riti religiosi in onore di Damatra), non c'era comunque distinzione di casta; tutte le donne, a prescindere dal loro ceto sociale, partecipavano alle processioni con in mano le torce crociate e le varie offerte che portavano alla dea della feconditą intonando inni propiziatori. Un luogo di culto molto rinomato in Messapia era quello che si trovava a ridosso della prima cerchia muraria di Orra. Lģ confluivano pellegrini non solo della zona ma anche di altri insediamenti della penisola salentina.



    Per le usanze messapiche e per quelle di gran parte delle societą autoctone e magnogreche, un marito aveva comunque il diritto di ripudiare la propria moglie, quando questa si macchiava del reato di adulterio o di azioni diffamatorie nei suoi confronti. La sterilitą era anche considerata causa di ripudio, perché l'uomo che l'aveva sposata aveva il diritto di garantire la continuitą della propria famiglia e se ciņ non avveniva egli la rimandava al padre con la dote. Nelle famiglie pił povere quest'ultimo particolare agiva da freno, poiché il pił delle volte le precarie condizioni economiche impedivano di restituire la dote della donna ripudiata. Per il costume ateniese la migliore delle donne era quella della quale gli estranei parlavano meno, sia nel male sia nel bene. Per la sua buona reputazione era consigliabile di non uscire quasi mai da casa anche se Gorgia sembrava mostrare maggiore finezza quando asseriva che non era l'apparenza ma la sostanza che faceva di una donna la degna compagna di un uomo. Alle donne ateniesi era vietato persino di accedere all'androon (luogo frequentato dai soli maschi). Durante e dopo la Guerra del Peloponneso, i costumi femminili cambiarono anche nella capitale attica. Pericle ripudiņ la moglie, dalla quale aveva avuto gią due figli, per congiungersi all'intelligente e colta Aspasia di Mileto. Essi fondarono un vero e proprio circolo culturale composto da donne e uomini che si riunivano di tanto in tanto per festeggiare o dibattere argomenti interessanti. Pseudo-Demostene in "Contro Neaira" descrive una societą abbastanza aperta per i suoi tempi: - "Abbiamo le cortigiane per il piacere, le concubine per le cure quotidiane, le mogli per darci dei figli legittimi ed essere le custodi fedeli delle nostre case".





    Nel "Lisistrata" (411) e "Le donne in assemblea" (392), alcuni ateniesi pensavano che le cose sarebbero andate meglio se le donne avessero determinato le scelte politiche al posto dei loro mariti. Nell'ultima commedia citata, Aristofane contrapponeva il tranquillo tradizionalismo delle donne alla mobilitą inquieta e innovatrice degli uomini e concludeva che le pratiche femminili sono migliori di quelle maschili. Per quanto riguarda, invece, il mondo delle cortigiane, anche in Messapia ci saranno state vere e proprie mestieranti dell'amore che avranno esercitato comodamente il loro lavoro in localitą portuali. A Brention, Hodrum, Anxa-Kallipolis, Naunia, Thuria Sallentinae o in prossimitą di altri approdi lungo le frequentatissime rotte a piccolo cabotaggio della penisola salentina, alcuni ritrovi del piacere avranno ospitato ricchi mercanti di passaggio o persone comuni che non disdegnavano di trascorrere un po' di tempo in dolce compagnia. A fare parte di questo mercato erano sicuramente donne ripudiate o molto povere da non potersi permettere alcun'altra risorsa o anche donne che erano state prelevate alla loro nascita, allorquando il genitore le aveva esposte al di fuori della casa su di un paniere o un cesto, perché indesiderate. C'era chi sapeva distinguere fra le neonate chi sarebbe diventata bella da adulta e questo fatto determinava il loro destino amministrato da un'esperta meretrice, che le sfruttava finché esse non avevano riscattato l'adozione volontaria da parte di colei che le aveva raccolte ed aveva provveduto al loro mantenimento fino all'etą di quindici anni. Mentre le pił fortunate a quell'etą prendevano marito, esse erano invece costrette a una vita di prostituzione. Dopo un certo periodo, le prostitute acquistavano la libertą e si mettevano in proprio. Alcune di loro diventavano molto ricche e talvolta sposavano uomini di grande potere.





    Per aggraziarsi i favori delle autoritą politiche e religiose, i tenutari delle cosiddette case di prostituzione offrivano una parte dei loro profitti per contribuire all'erezione di alcuni templi dedicati ad Aprodita (l'Aphrodite messapica) o ad altre divinitą protettrici dell'arte amatoria. Il culto di Aprodita, dea dell'amore, era molto diffuso in Messapia, ma anche quello di Thana o Athana (dea dell'ingegno), di Arthemis Bendis, Arthemis Agrogora, Damatra e Grahia, divinitą della fertilitą e della riproduzione. Chissą quante volte le donne di Messapia avranno pregato Aprodita e le altre dee per meritare un buon matrimonio ed una sana prole? L'universo della donna messapica, delineato in base ai tanti documenti epigrafici e raffigurativi, č assai complesso ed č lungi dall'essere esplorato esaustivamente; ma, ogni sforzo esegetico che si compie e ogni frammento di informazione che si aggiunge costituiranno nel tempo un importante apporto sulla strada della conoscenza di un cosģ interessante aspetto delle origini culturali del nostro Salento.



    Prof. Fernando Sammarco

    Autore de " I LEONI DI MESSAPIA"

  4. #4
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    Lo storico greco Tucidite, contemporaneo di quell'epoca, parla nel suo libro "La Guerra del Peloponneso" di un'alleanza messapico-ateniese basata anche su aiuti militari. Non fu un caso che nel 415 e 413 gli Ateniesi in rotta verso Siracusa, fermandosi per approvvigionamenti alle isole Cheradi (o Chorades), ricevessero una calorosa accoglienza da parte dei Messapi, che si prodigarono a far salpare sulle loro navi oltre a cavalli e lanciatori di giavellotto anche ogni genere di vettovagliamento.
    Questo patto di alleanza era perņ noto solo ai tempi del re Arthas, il pił grande dinasta messapico dell'etą classica. Ma nulla si sa di essa nella prima fase della Lega Messapica, quando si verificņ il grande scontro tra le stirpi autocnone del Salento e i colonizzatori lacedemoni di Taranto, i quali andarono incontro ad una disastrosa sconfitta, di cui Erodono parla come della pił immane disfatta che popolo greco non avesse mai conosciuto. Non č da escludere, che gią allora, forze ateniesi o mercenari arruolati dalle stesse avessero aiutato i Messapi a scacciare dal proprio territorio gli invasori tarantini e a continuare la contesa fino alla loro capitolazione. Ma, se l'intesa con Atene fosse gią in atto in quel periodo, forse non incontrava l'unanimitą dei consensi all'interno della Lega, poiché quest'ultima aveva bisogno di affermare la propria autonomia e la propria cultura entro confini sicuri e di non permettere ad alcuna potenza straniera di influenzare le proprie scelte politiche.
    Le vicende e i fatti storici salienti di gran parte del V sec. a.C. nel Salento antico ebbero inizio con la costituzione della Confederazione

  5. #5
    i vetlarguar Maska e Arcimedes
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    Lo storico greco Tucidite, contemporaneo di quell'epoca, parla nel suo libro "La Guerra del Peloponneso" di un'alleanza messapico-ateniese basata anche su aiuti militari. Non fu un caso che nel 415 e 413 gli Ateniesi in rotta verso Siracusa, fermandosi per approvvigionamenti alle isole Cheradi (o Chorades), ricevessero una calorosa accoglienza da parte dei Messapi, che si prodigarono a far salpare sulle loro navi oltre a cavalli e lanciatori di giavellotto anche ogni genere di vettovagliamento.
    Questo patto di alleanza era perņ noto solo ai tempi del re Arthas, il pił grande dinasta messapico dell'etą classica. Ma nulla si sa di essa nella prima fase della Lega Messapica, quando si verificņ il grande scontro tra le stirpi autocnone del Salento e i colonizzatori lacedemoni di Taranto, i quali andarono incontro ad una disastrosa sconfitta, di cui Erodono parla come della pił immane disfatta che popolo greco non avesse mai conosciuto. Non č da escludere, che gią allora, forze ateniesi o mercenari arruolati dalle stesse avessero aiutato i Messapi a scacciare dal proprio territorio gli invasori tarantini e a continuare la contesa fino alla loro capitolazione. Ma, se l'intesa con Atene fosse gią in atto in quel periodo, forse non incontrava l'unanimitą dei consensi all'interno della Lega, poiché quest'ultima aveva bisogno di affermare la propria autonomia e la propria cultura entro confini sicuri e di non permettere ad alcuna potenza straniera di influenzare le proprie scelte politiche.
    Le vicende e i fatti storici salienti di gran parte del V sec. a.C. nel Salento antico ebbero inizio con la costituzione della Confederazione

    Qerim, heren tjeter, te lutem, shkruaje pak edhe ne gjuhen kineze apo japoneze.
    Ashtu te lumte. Por mos harro edhe ne gjuhen shqipe po deshe.
    Hajt faleminderit.
    I vetlarguar per arsyje fshirje shkrimesh nga moderatore arrogante si puna e Dariusit me shoke....

  6. #6
    Warranted Maska e Qerim
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    http://digilander.libero.it/Janes/Arthas/
    Fotografitė e Bashkėngjitura Fotografitė e Bashkėngjitura    

  7. #7
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    Mendoj se ne Shqiperi duhet ti vihet me shume interes studimit te mesapeve dhe japingeve.Keto popuj kane meriten te na sjellin me shume te dhena per iliret se sa popuj te tjere ilire.
    Fotografitė e Bashkėngjitura Fotografitė e Bashkėngjitura   

  8. #8
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    Messapii
    From Wikipedia, the free encyclopedia.
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    The Messapii were an ancient tribe that inhabited, in historical times, the south-eastern peninsula or "heel" of Italy, known variously in ancient times as Calabria, Messapia and Iapygia.

    Their chief towns were Uzentum, Rudiae, Brundisium and Uria. They are mentioned (Herod. 7.170) as having inflicted a serious defeat on the Greeks of Tarentum in 473 BC. Herodotus adds a tradition which links them to the Cretan subjects of King Minos.

    Their language is preserved for us in a scanty group of perhaps fifty inscriptions of which only a few contain more than proper names, and in a few glosses in ancient writers collected by Mommsen (Unteritalische Dialekte, p. 70). Unluckily very few originals of the inscriptions are now in existence, though some few remain in the museum at Taranto. The only satisfactory transcripts are those given by:

    1. Mommsen (loc. cit.)
    2. John P Droop in the Annual of the British School at Athens (1905-1906), xli. 137, who includes, for purposes of comparison, as the reader should be warned, some specimens of the 'unfortunately numerous class of forged inscriptions.

    A large number of the inscriptions collected by Gamurrini in the appendices to Fabretti's Corpus inscriptionum italicdrum are forgeries, and the text of the rest is negligently reported. It is therefore safest to rely on the texts collected by Mommsen, cumbered though they are by the various readings given , to him by various, authorities. In spite, however, of these difficulties some facts of considerable importance have been established.

    The inscriptions, so far as it is safe to judge from the copies of the older finds and from Droop's facsimiles of the newer, are all in the Tarentine-Ionic alphabet (with for v and for h). For limits of date 400-150 BC may be regarded as approximately probable; the two most important inscriptions--those of Bindisi and Vastemay perhaps be assigned provisionally to the 3rd century BC. Mommsen's first attempt at dealing with the inscriptions and the language attained solid, if not very numerous, results, chief of which were the genitival character of the endings -aihi and -ihi; and the conjunctional value of inthi (loc. cit. 79-84 sg(1).

    Since that time (1850) very little progress has been made. There is, in fact, only one attempt known to the present writer to which the student can be referred as proceeding upon thoroughly scientific lines, that of Professor Alf Torp in Indogermanische Forschungen (1895), V, 195, which deals fully with the two inscriptions just mentioned, and practically sums up all that is either certain or probable in the conjectures of his predecessors. Hardly more than a few words can be said to have been separated and translated with certainty--kalatoras (masc. gen. sing.) "of a herald" (Written upon a herald's staff which was once in the Naples Museum); "aran" (acc: sing. fem.) "arable land"; mazzes, "greater" (neut. acc. sing.), the first two syllables of the Latin maiestas; while tepise (3rd sing. aorist indic.) "placed" or "offered"; and forms corresponding to the article (ta = Greek to) seem also reasonably probable.

    Some phonetic characteristics of the language may be regarded as quite certain:

    1. the change of PIE short -ǒ- to -ǎ- (as in the last syllable of the genitive kalatoras)
    2. of final -m to -n (as in aran)
    3. of -ni- to -nn- (as in the Messapian praenomen Dazohonnes vs. the Illyrian praenomen Dazonius; the Messapian genitive Dazohonnihi vs. Illyrian genitive Dasonii, etc.)
    4. of -ti- to -tth- (as in the Messapian praenomen Dazetthes vs. Illyrian Dazetius; the Messapian genitive Dazetthihi vs. the Illyrian genitive Dazetii; from a Dazet- stem common in Illyrian and Messapian)
    5. of -si- to -ss- (as in Messapian Vallasso for Vallasio, a derivative from the shorter name Valla)
    6. the loss of final d (as in tepise), and probably of final t (as in -des, perhaps meaning "set", from PIE *dhe-, "to set, put")
    7. the change of voiced aspirates in Proto-Indo-European to plain voiced consonants: PIE *dh- or *-dh- to d- or -d- (Mes. anda 8. -au- before (at least some) consonants becomes -ā-: Bāsta, from Bausta
    9. the form penkaheh --which Torp very probably identifies with the Oscan stem pompaio--a derivative of the Proto-Indo-European numeral *penkwe-, "five".

    If this last identification be correct it would show, that in Messapian (just as in Venetic and Ligurian) the original velars were retained as gutturals and not converted into labials. The change of o to a is exceedingly interesting as being a phenomenon associated with the northern branches of Indo-European such as Gothic, Albanian and Lithuanian, and not appearing in any other southern dialect hitherto known. The Greek Aphrodite appears in the form Aprodita (dat. sing., fem.). The use of double consonants which has been already pointed out in the Messapian inscriptions has been very acutely connected by Deecke with the tradition that the same practice was introduced at Rome by the poet Ennius who came from the Messapian town Rudiae (Festus, p. 293 M).

    It should be added that the proper names in the inscriptions show the regular Italic system of gentile nomen preceded by a personal praenomen; and that some inscriptions show the interesting feature which appears in the Tables of Heraclea of a crest or coat of arms, such as a triangle or an anchor, peculiar to particular families. The same reappears in the Iovilae of Capua and Cumae.

    For further information the student must be referred to the sources already mentioned and further to W Deecke in a series of articles in the Rheinisches Museum, xxxvi. 576 sqq.; xxxvii. 373 sqq. ; xl. 131 sqq.; xlii. 226 sqq., S Bugge, Bezzenbergers Beiträge, vol. 18. A newly discovered inscription has been published by L Ceci Notizie degli Scavi (1908), p. 86; and one or two others are recorded by Professor Viola, ibid. 1884, p. 128 sqq. and in Giornale degli Scavi di Pompei, vol. 4 (1878), pp. 70 sqq. The place-names of the district are collected by RS Conway, The Italic Dialects, p. 31; for the Tarentine-Ionic alphabet see ibid. ii., 461.

    For a discussion of the important ethnological question of the origin of the Messapians see:

    * W Helbig, Hermes, xi. 257
    * P Kretschmer, Einleitung in die Geschiehte der griechischen Sprache, pp. 262 sqq., 272 sqq.
    * H Hirt, Die sprachliche Stellung der Illyrischen (Festschrift fur H Kiepert, pp. 179-188)

    This article incorporates text from the 1911 Encyclopędia Britannica, which is in the public domain.

  9. #9
    i vetlarguar Maska e Arcimedes
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    Ne anglisht esht me mir, se une italisht nuk di.

    faleminderit Qerim
    I vetlarguar per arsyje fshirje shkrimesh nga moderatore arrogante si puna e Dariusit me shoke....

  10. #10
    Warranted Maska e Qerim
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    Arcimede ja po shpjegoj me pak fjale per cfare eshte llafi.

    Shtriheshin tek taka e cizmes italiane.Kane qene me te vertete nje popull i mrekullueshem.Grate kishin te drejta me shume se te barabarta me burrat(nje paradoks per boten antike).Nuk kishin skllever,por punonin te gjithe familjarisht!!!!Kurre nuk sulmuan askend.Ishin fqinje me nje popull sherraxhi grek, qe s`i linte ne paqe ,aty ku tani eshte qyteti i Torontos..Prandaj ata zhvilluan nje lufte, e cila sipas Heredotit ishte humbja me madhe e fares greke ne histori, megjithese ishin te ndihmuar edhe nga spartanet.Kishin lidhje te forta me Athinen dhe e ndihmuan ne luften kunder Spartes.Kjo perforcon idene se Athina ishte ilire dhe Sparta greko-siriane.Gjuha e tyre ishte shume e ngjashme me shqipen e sotme.Pra edhe me sceptiku nuk mund ta kundershtoje faktin se ata ishin ilire.Kur u pushtuan nga Roma i dhuruan shume civilizimit roman.
    Ndryshuar pėr herė tė fundit nga Qerim : 02-01-2006 mė 21:41

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    Nga Fatih nė forumin Komuniteti musliman
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    Postimi i Fundit: 03-01-2010, 19:27
  2. Pa zgjidhjen e ēėshtjes shqiptare s’ka stabilitet nė Ballkan
    Nga biligoa nė forumin Ēėshtja kombėtare
    Pėrgjigje: 11
    Postimi i Fundit: 12-06-2009, 15:54
  3. Shqiptarėt Popull Solidar
    Nga [A-SHKODRANI] nė forumin Aktualitete shoqėrore
    Pėrgjigje: 2
    Postimi i Fundit: 29-01-2006, 20:16
  4. Popull mos harro !!!
    Nga Kryeplaku nė forumin Aktualitete shoqėrore
    Pėrgjigje: 32
    Postimi i Fundit: 19-03-2005, 18:02

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