Nje nga shkenc.politikane, mendimtar, sociolog dhe profesoret me te mire te koheve moderne, Sartori jep analize kritike objektive dhe u shkon gjerave ne thelb..gjithmone kenaqesi te lexosh Sartorin, po u jap nje interviste te tij tek Telema 1..eshte ne italisht, por e perkthyer i humbasin i vlerat e atyre qe ai thote:
Dall'homo sapiens
all'homo insipiens?
Il futuro videocratico rischia di produrre un vortice di imbroglioni e di imbrogliati, dominato dall'incompetenza. Finisce il dominio dell'uomo che legge, comincia quello dell'uomo che guarda, anzi che videovede. Ecco il pericolo.
Professor Sartori, il progresso della cibernetica e della telematica non realizza per caso un antico sogno di Jean-Jacques Rousseau? Non fu lui, duecento anni fa, a spiegarci che il miglior governo possibile č la democrazia diretta, cioč quella forma di democrazia in cui il cittadino esprime la sua opinione e la sua volontą senza bisogno di rappresentanti, cioč senza eleggere un Parlamento?
Non mi sfugge che batte prepotentemente alle porte un nuovo che alcuni presentano come la democrazia diretta resa finalmente possibile dalla Tv e dalla telematica. E č in teoria vero che da casa sua, semplicemente premendo un tasto, ogni cittadino potrebbe far conoscere al governo la sua opinione su un dato argomento, o addirittura approvare una legge. Perņ chi mi conosce, o ha letto i miei libri, sa benissimo che cosa penso di questa cosiddetta ciberdemocrazia. E intanto direi di andarci molto piano con certi disinvolti richiami a Rousseau. Il quale, per esempio, dava per scontato che la democrazia diretta dovesse basarsi su una discussione faccia a faccia tra cittadini tutti fisicamente presenti all'assemblea e tutti impegnati a confrontarsi su problemi locali, e quindi ben noti. Era insomma una democrazia praticabile da piccole comunitą, al massimo dal cantone di tipo svizzero; comunitą in cui potesse applicarsi anche l'altra idea roussoviana che i cittadini, piuttosto che pagare le tasse, meglio farebbero a accettare delle corvé, cioč a fare di propria mano certi servizi utili alla comunitą. Ma i problemi si sono nel frattempo ingigantiti. E, come i cittadini di una metropoli moderna non riuscirebbero a tenerla pulita, anche se ciascuno spazzasse un pezzetto di strada, cosģ gli elettori d'oggi non saprebbero decidere al pulsante di questioni enormi, per capire le quali spesso non basta il tempo pieno di uno specialista nell'arco di una vita. Nella democrazia rappresentativa il compito dei rappresentanti č appunto quello di studiare e poi decidere in nome e per conto degli elettori, che non hanno il tempo e la possibilitą di farlo. E nel mondo d'oggi, per com'č complicato, i Parlamenti e i politici professionali sono pił che mai necessari.
Ma dopo tangentopoli e dopo il disastro della finanza pubblica, in Italia č nata una certa insofferenza nei confronti della rappresentanza...
Perché la rappresentanza si č dimostrata disonesta, non perché la rappresentanza in sé sia un male, o perché sia facile sostituirla con qualche altro sistema. Nella democrazia diretta delle piccole comunitą, che Rousseau aveva in mente, e in cui il problema della qualitą e del prezzo del pane poteva essere discusso faccia a faccia tra i padri di famiglia e il fornaio, i presenti all'assemblea magari litigavano con urla e fischi, ma pur sempre interagivano tra loro, pur sempre erano in grado di parlarsi, di vedersi, e di cercare, volendo, una persuasione reciproca. Che accade invece nel direttismo elettronico? Qui il governante a caccia di responsi o di consensi mobilita una folla solitaria. Va in cerca d'una miriade di individui isolati e inerti che si rapportano solo al video e decidono in solitudine, premendo bottoni, di cose delle quali al novantanove per cento non sanno nulla. In questo direttismo sparisce la discussione, sparisce il decidere insieme, sparisce la nozione stessa dell'interesse comune. Siamo, insomma, all'esatto contrario della democrazia diretta, perché alla volontą generale si sostituisce una conta aritmetica di volontą individuali neppure ben formate.
Correggiamo dunque la rappresentanza, dice lei, anche perché non sarebbe facile inventare nuovi sistemi. Ne č certo?
Sģ, guardi, l'architettonica politica inventa molto poco. Ci sono voluti quasi duemila anni per passare dalla microdemocrazia diretta della polis greca alla macrodemocrazia rappresentativa dei moderni (che io cocciutissimamente mi ostino a considerare preziosa); e, come vediamo, puņ bastare qualche decennio a mandare in crisi la rappresentanza, a sfiduciare l'istituzione parlamentare. Ma questo č un meccanismo che se viene usato da incompetenti o maldestri puņ rompersi e, se viene pregato di fare miracoli puņ deludere. E allora si sente dire: č superato. E io rispondo: se vi piace tanto il direttismo o il sondaggismo telematico, quasi ci siete, ma se non vi piace e pensate che sia una truffa, allora non vi resta che restaurare e salvare la democrazia rappresentativa.
Processo di formazione delle opinioni: almeno in questo, la Tv e la telematica possono servire?
Dipende dall'uso che si fa del mezzo. Se il processo di formazione delle opinioni avviene solo attraverso la Tv e principalmente in base al vedere, colui che padroneggia lo strumento esercita una vera e propria videocrazia. In altre parole: le opinioni sono sempre meno il prodotto di una elaborazione individuale e sempre pił il riflesso sul pubblico di cose affermate dai massmedia. C'č poi un altro tipo di inquinamento che io chiamo da incompetenza. Mi spiego con un esempio. Come faccio, io cittadino premibottoni, a sapere se il doppio turno č meglio del turno unico, se il federalismo puņ curare i mali del centralismo e se il presidenzialismo č preferibile al parlamentarismo? Non lo so. Dovrei aver studiato una vita per saperlo. Allora dal video me lo spiega qualcuno, che magari a sua volta non lo sa! Il futuro videocratico rischia dunque di essere un vortice vizioso di imbroglioni e di imbrogliati dominato dall'incompetenza.
Il progresso tecnologico che non fa necessariamente i veri interessi del genere umano. E' cosģ?
Cambiano e si avvicendano le civiltą e le culture ma non sempre si va dal peggio al meglio. L'Uomo di Cro-Magnon era pił evoluto e sterminņ l'uomo di Nehandertal. Ma non era pił evoluto l'invasore dorico della Grecia che distrusse la raffinata civiltą micenea; anzi era un vero selvaggio, che perņ usava armi di ferro contro quelle di bronzo dei contemporanei di Agamennone. Il dorico era insomma tecnologicamente un po' pił avanti: ma dopo la sua vittoria il mondo greco precipitņ nel cosiddetto Medioevo ellenico, un'epoca di profonda ignoranza...
Qualcosa del genere sta accadendo nella nostra epoca?
Io dico spesso che di questi tempi assistiamo alla cacciata dell'Uomo di Gutemberg da parte dell'Uomo di McLuhan. Ovvero, l'ultima generazione formatasi quasi interamente sui libri sta per essere spazzata via dalla prima generazione formatasi quasi interamente sulla Tv e sul computer. Non č solo una constatazione anagrafica. E', proprio, che finisce il dominio dell'uomo che legge mentre comincia quello dell'uomo che guarda, o meglio che videovede.
C'č tanta differenza? Mi descriva i due tipi ...
La differenza č enorme. L'uomo leggente prima legge, poi č obbligato a trasformare in immagini e concetti le informazioni che ha assunto leggendo. In altre parole č obbligato a un lavoro di astrazione mentale. L'uomo che videovede č invece gią servito a puntino, quindi non č obbligato a fare questo sforzo. Tutti i videovedenti memorizzano poi la stessa immagine o lo stesso concetto; una elaborazione personale non c'č. Riassumendo: l'immagine si presenta come nemica dell'astrazione; l'uomo di McLuhan rispetto a quello di Gutemberg, pensa molto meno; e quando pensa, il suo pensiero č facilmente omologabile a quello degli altri videovedenti.
Con quali conseguenze sul piano politico?
Per esempio, il videovedente sarą molto meno portato del leggente a risalire dal particolare al generale, oppure a inquadrare i problemi nell'ottica dell'interesse collettivo, o del lungo periodo. Non perché sia d'animo cattivo, ma perché non č abituato a fare discorsi astratti basati su sillogismi o inferenze, su deduzioni o induzioni anziché su immagini. Le vaste problematiche, il bene comune e il lungo termine sono astrazioni che la Tv, paradiso dell'immagine, non consente. Insomma in Tv esiste solo il visibile. E soprattutto quella parte di visibile che pił fa colpo...
Lei sta dicendo che la cattiva informazione per immagini puņ essere anche pił dannosa della cattiva informazione scritta?
Certo che lo č. Le omissioni e le compressioni di notizie sono pił probabili e frequenti in Tv che sui giornali stampati. Pił probabili e anche pił gravi. Lei, oggi, un grande quotidiano non lo legge tutto in meno di ventiquattro ore, tanta č la merce che espone. Allora lei, che puņ dedicare alla lettura diciamo tre ore, che cosa fa? Opera una selezione degli articoli che pił la interessano; dei rimanenti scorrerą solo i titoli. Ma č sempre lei, uomo leggente, che fa questo, che decide l'omissione, che opera la compressione. Davanti alla Tv le succederą tutto il contrario. Poiché i notiziari video hanno tempi ristretti e prestabiliti, sarą il videocrate a decidere quale evento dev'essere trasmesso e in quante manciate di minuti primi o addirittura di minuti secondi. Qualcun altro insomma pensa e sceglie per lei, e lei č ridotto a uomo che guarda, a videovedente. Né il male sta tutto qui perché, come dicevo prima, in Tv esiste solo il visibile...
Concetto chiaro: le notizie non supportate da immagini rischiano di passare in seconda linea o di essere omesse.
Pił che altro, di non essere recepite dal videovedente secondo l'importanza che hanno. Perché, si sa, in Tv l'importanza di un evento č legata alle sue virtł telegeniche. Esiste perņ un tipo di omissione, o distorsione, molto pił sottile di cui il videocrate puņ servirsi senza che il videovedente nemmeno lo sospetti. L'immagine, magari molto drammatica, compare sul video mentre il commento parlato dice altro, si riferisce a altro, non ha cioč la stessa funzione della didascalia rispetto alla foto stampata su un giornale. Non che dica il falso: semplicemente dice altro, cioč lascia il videovedente solo davanti all'immagine. Appaiono sul teleschermo, poniamo, dei negri trucidati, e nessuno mi spiega chi sono e chi li abbia uccisi: la voce mi sta parlando di un dibattito in corso all'Onu. E' ciņ che chiamo decontestualizzazione dell'immagine; abuso gravissimo, che apre la porta a distorsioni abominevoli. E' soltanto un luogo comune che le immagini parlino da sole. Le immagini invece vanno sempre datate e sempre spiegate. Altrimenti possono tacere, oppure lanciare messaggi ingannevoli.
Secondo lei il paragone tra giornalismo scritto e giornalismo per immagini si risolve a favore del primo. Eppure, sempre secondo lei, il giornalismo per immagini č incontrastabilmente vincitore.
Ma non č detto che la galassia Gutemberg debba essere del tutto travolta dalla galassia McLuhan. La sua parte migliore si puņ salvare pur nel trionfo delle immagini. Quale che sia la natura dello strumento, alla fine la scelta č nostra, non della tecnologia. E infatti vi sono ancora differenze profonde da paese a paese nell'uso della Tv generalista e specialmente nel settore dell'informazione. In Europa resistono ancora le talking heads, che negli Usa sono state tutte tagliate...
Le talking heads?
Le teste parlanti. Cioč i commentatori delle notizie, gli elaboratori concettuali, coloro che aiutano il videovedente a fare dell'astrazione e perfino un po' di sintesi. Lo spartiacque tra videocrazia assoluta e videocrazia temperata č rappresentata dall'impiego o non impiego dei commentatori durante i notiziari o gli speciali. Il grosso della Tv europea, sull'esempio dell'inglese Bbc, usa ancora le teste parlanti: saranno anche noiose, faranno perdere un po' di audience al programma, ma tenerle č come minimo una questione di decoro. Per contro, le talking heads sono ormai anatema per le tre maggiori reti americane.
Probabilmente perché non rendono danaro e non fanno spettacolo...
E allora, via! Via loro e via anche Diogene con la sua lanterna. Non c'č nulla da illuminare, esiste solo ciņ che č visibile. La disoccupazione dilaga? Bisogna combatterla e ridurla? Tagliata la testa parlante con le sue citazioni di numeri, con le sue ipotesi noiose, all'esame del problema subentra un operaio che si trova mal messo perché č stato licenziato sotto Natale. Non č affatto la stessa cosa, ma commuove, e tanto basta. E cosģ arriviamo alla drammatizzazione del triviale congiunta alla castrazione del capire.
Non bisogna dare la parola anche all'uomo della strada?
Certo che bisogna dare la parola anche all'uomo della strada; ma ciņ che si raccoglie coi microfoni per le vie, o nelle case, attraverso i sondaggi telefonici, non puņ essere gabellato per pubblica opinione o, peggio ancora, per agenda delle cose da fare, con relative prioritą. E invece č proprio questo l'obiettivo del videocrate .
Lei č un avversario dei sondaggi, questo lo sanno tutti. Ma č pił scettico rispetto alla possibilitą che esista un'opinione o rispetto alla possibilitą che sia possibile sondarla in modo adeguato e coscienzioso?
Come, perché e fino a che punto i sondaggi, anche quando ben fatti, siano un inganno, č stato studiato in America molto prima che in Italia. Esiste al riguardo una letteratura ricchissima. Anche lasciando perdere i casi limite in cui, per esperimento, la gente interrogata ha espresso opinioni salde e coerenti su atti inventati lģ per lģ dall'intervistatore, emerge in modo inequivoco che il demopensiero č solo il riflesso di convinzioni indotte dagli stessi media. Due ricercatori, Iyengard e Kinder, hanno stabilito che sono le stesse notizie televisive a comandare l'attenzione del pubblico e a definire i criteri del giudizio. Come potrebbe essere diversamente? Interrogata su cose di cui non puņ sapere nulla in modo diretto, la gente si regola su quanto ha saputo dai media. Ma allora č spudorato presentare i sondaggi come una vox populi vox dei perché la cosiddetta voce del popolo non č che voce dei media nel popolo. A rendere il tutto un pņ pił ridicolo interviene la perenne poll-anxiety degli uomini politici, che vivono con lo stetoscopio all'orecchio attenti a ogni pulsazione degli umori popolari. E' una auscultazione del fasullo, eppure da essa nasce molto spesso il comportamento dei leader. I media insomma, prima formano la pubblica opinione, poi vanno a raccoglierla tra la gente coi sondaggi, infine la sventolano di nuovo in Tv condizionando con essa i politici. E il cerchio perverso si chiude. Vi sono molte altre ragioni per diffidare dei sondaggi: la pił importante č che il loro esito dipende dal modo in cui sono formulati i quesiti. Troppo spesso accade che un campo d'intervistati si esprima in modo contraddittorio, tra una domanda e l'altra, sul medesimo argomento.
Addio miti dell'era elettronica, allora. Addio villaggio globale di Marshall McLuhan.
McLuhan era un uomo di belle e ardite speranze. A suo predire, il villaggio globale č una implosione che intensifica al massimo la responsabilitą, che ci responsabilizza ovunque, e di tutto. Ma a parte il fatto che le tecnologie elettroniche a disposizione dei capi del villaggio e dei suoi abitanti si sono nel frattempo moltiplicate e complicate (telematica, ciberspazio) io non condivido affatto l'ottimismo di McLuhan, perché dico e ripeto: tutto dipende dall'uso che degli strumenti si fa. Il medium in sé non č né buono né cattivo: bisogna vedere che messaggi si lanciano. Se la Tv ci fa vedere bambini morenti di fame ci spinge alla fratellanza e alla solidarietą, ma se cade nelle mani di un redivivo Hitler č in grado di trasformare il villaggio globale in un mattatoio. Sulla responsabilizzazione dell'uomo dovuta al mezzo avrei quindi molti dubbi. Poi, non sono convinto che il mondo potrą diventare villaggio globale nel senso che McLuhan dava a tale espressione. E' vero che la televisione omogeneizza gusti e stili di vita, ma l'essere omogenei non ci rende eo ipso fratelli, ammesso che l'armonia tra fratelli sia una regola. Anzi, siccome siamo sensibilizzati alle stesse cose, litigheremo pił spesso. Per esempio tutti siamo sensibilizzati ai problemi ambientali ma tutti, poi, le discariche le vogliamo da un'altra parte.
In conclusione lei non crede che in societą complesse come la nostra vi sia posto per utopie come la democrazia diretta e l'autogoverno. E dei referendum, di cui in Italia facciamo tanto uso e forse abuso, cosa pensa?
Dei referendum in quanto istituti inseriti nella democrazia rappresentativa penso tutto il bene possibile (sottolineo possibile). Ciņ che mi preoccupa č uno strumento dallo stesso nome che lo soppianta e che fonda la cosiddetta democrazia referendaria. Definirņ questo nuovo animale, che ancora non esiste ma aleggia, cosģ: un sistema politico, nel quale il demos decide direttamente le singole questioni non pił assieme ma separatamente e in solitudine. Come sappiamo, grazie all'elettronica e ai famosi pulsanti, tecnologicamente la cosa č fattibilissima. Ma che sia fattibilissima non comporta automaticamente che sia da fare. Dice: «E perché no? Anche nella democrazia elettorale il cittadino si limita a scegliere tra alternative precostituite». Falso! Nella democrazia elettorale, o rappresentativa, il cittadino si limita ad eleggere chi deciderą. In quella referendaria invece il cittadino decide sulle questioni da decidere. Dove sta la differenza? Nella democrazia rappresentativa, dove a decidere sono i rappresentanti e non i rappresentati, i rappresentanti si parlano, discutono, scambiano concessioni reciproche e sono in grado di concordare per i vari problemi, soluzioni in cui tutti possono avere qualcosa da guadagnare. La decisione che si raggiunge č in ogni caso a somma positiva. Nella democrazia referendaria invece non c'č negoziato: chi vince vince tutto, e chi perde perde tutto; anzi io vinco esattamente quel che l'altro perde e il risultato č ciņ che gli americani chiamano una zero sum, una somma nulla (se poi per disgrazia a causa di una decisione sbagliata tutti perdessero qualcosa avremmo addirittura una minus sum, una somma negativa). Sconsiglio. I risultati a somma nulla non fanno che aggravare i conflitti e aumentare le tensioni. Se chi perde perde tutto, allora la sconfitta č cocente, e se la cosa grazie all'elettronica si ripete giorno dopo giorno, puņ diventare intollerabile. Nascerebbe una tirannide della maggioranza. La democrazia referendaria instaurerebbe insomma un principio maggioritario assoluto che violerebbe il principio, fondamentalissimo, del rispetto della minoranza. I referendum propositivi, voglio dire, non guardano in faccia nessuno. Nella democrazia referendaria, poi, ogni questione ci arriverebbe sul video gią confezionata, fissata, non ritoccabile, e isolata da ogni altra questione. E chi sarebbero i confezionatori?
Gią, chi sarebbero?
Anche se fossero individui eletti a titolo rappresentativo, nella democrazia referendaria la partita sta tutta nel decidere l'agenda, cioč quel che č da mettere in decisione rispetto a quello che non č da disturbare. E poi, come ho gią detto, nel modo di formulare i quesiti. Il votante schiacciabottoni puņ essere tratto in inganno con estrema facilitą, mentre nessuno puņ in buona fede sostenere che con altrettanta facilitą potrebbe diventare competente sulla questione da decidere. Dice: «Ma proprio grazie all'elettronica possiamo dargli tanta informazione». Rispondo che al cospetto della democrazia refendaria non possiamo pił fingere che l'informazione sia competenza. Ammettiamo pure che nel contesto referendario i grandi pubblici si sveglino, si interessino, si informino: anche cosģ non saremmo che a mezza strada, perché l'informazione non dą, di per sé, epistéme, quel sapere che č comprensione del problema nel quale una decisione si situa. Insomma: tutti i sedicenti superamenti dell'istituto della rappresentanza devono ancora cominciare a fare i conti con il problema della pubblica opinione. Non č un po' strano?
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