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Giovanni Pascoli
L'ASSIUOLO
Dovera la luna? ché il cielo
notava in unalba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggił;
veniva una voce dai campi:
chił...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
comeco dun grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chił...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri dargento
(tintinni a invisibili porte
che forse non saprono pił?...);
e cera quel pianto di morte...
chił...
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IL GELSOMINO NOTTURNO
E saprono i fiori notturni,
nellora che penso a miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
lą sola una casa bisbiglia.
Sotto lali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
lodore di fragole rosse.
Splende un lume lą nella sala.
Nasce lerba sopra le fosse.
Unape tardiva sussurra
trovando gią prese le celle.
La Chioccetta per laia azzurra
va col suo pigolģo di stelle.
Per tutta la notte sesala
lodore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: sč spento...
Č lalba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro lurna molle e segreta,
non so che felicitą nuova.
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I PUFFINI DELL'ADRIATICO
Tra cielo e mare (un rigo di carmino
recide intorno lacque marezzate)
parlano. Č unalba cerula destate:
non una randa in tutto quel turchino.
Pur voci reca il soffio del garbino
con ozļose e tremule risate.
Sono i puffini: su le mute ondate
pende quel chiacchiericcio mattutino.
Sembra un vociare, per la calma, fioco,
di marinai, chad ora ad ora giunga
tra l fievole sciacquģo della risacca;
quando, stagliate dentro loro e il fuoco,
le paranzelle in una riga lunga
dondolano sul mar liscio di lacca.
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NOVEMBRE
Gemmea l'aria, il sole cosģ chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...
Ma secco č il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al pič sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. E' l'estate
fredda, dei morti.
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TEMPORALE
Un bubbolģo lontano ...
Rosseggia lorizzonte,
come affocato, a mare:
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
unala di gabbiano.
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DALL'ARGINE
Posa il meriggio su la prateria.
Non ala orma ombra nell'azzurro e verde.
Un fumo al sole biancica; via via
fila e si perde.
Ho nell'orecchio un turbinģo di squilli,
forse campani di lontana mandra;
e, tra l'azzurro penduli, gli strilli
della calandra.
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DIGITALE PURPUREA
Siedono. Luna guarda laltra. Luna
esile e bionda, semplice di vesti
e di sguardi; ma laltra, esile e bruna,
laltra
I due occhi semplici e modesti
fissano gli altri due chardono. «E mai
non ci tornasti?» «Mai!» «Non le vedesti
pił?» «Non pił, cara.» «Io sģ: ci ritornai;
e le rividi le mie bianche suore,
e li rivissi i dolci anni che sai;
quei piccoli anni cosģ dolci al cuore
»
Laltra sorrise. «E di: non lo ricordi
quellorto chiuso? i rovi con le more?
i ginepri tra cui zirlano i tordi?
i bussi amari? quel segreto canto
misterioso, con quel fiore, fior di
?»
«morte: sģ, cara». «Ed era vero? Tanto
io ci credeva che non mai, Rachele,
sarei passata al triste fiore accanto.
Ché si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria laria; un suo vapor che bagna
lanima dun oblģo dolce e crudele.
Oh! quel convento in mezzo alla montagna
cerulea!» Maria parla: una mano
posa su quella della sua compagna;
e luna e laltra guardano lontano.
II
Vedono. Sorge nellazzurro intenso
del ciel di maggio il loro monastero,
pieno di litanie, pieno dincenso.
Vedono; e si profuma il lor pensiero
dodor di rose e di viole a ciocche,
di sentor dinnocenza e di mistero.
E negli orecchi ronzano, alle bocche
salgono melodie, dimenticate,
lą, da tastiere appena appena tocche
Oh! quale vi sorrise oggi, alle grate,
ospite caro? onde pił rosse e liete
tornaste alle sonanti camerate
oggi: ed oggi, pił alto, Ave, ripete,
Ave Maria, la vostra voce in coro;
e poi dun tratto (perché mai?) piangete
Piangono, un poco, nel tramonto doro,
senza perché. Quante fanciulle sono
nellorto, bianco qua e lą di loro!
Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono
di vele al vento, vengono. Rimane
qualcuna, e legge in un suo libro buono.
In disparte da loro agili e sane,
una spiga di fiori, anzi di dita
spruzzolate di sangue, dita umane,
lalito ignoto spande di sua vita.
III
«Maria!» «Rachele!» Un poco pił le mani
si premono. In quellora hanno veduto
la fanciullezza, i cari anni lontani.
Memorie (luna sa dellaltra al muto
premere) dolci, come č tristo e pio
il lontanar dun ultimo saluto!
«Maria!» «Rachele!» Questa piange, «Addio!»
dice tra sé, poi volta la parola
grave a Maria, ma i neri occhi no: «Io,»
mormora, «sģ: sentii quel fiore. Sola
ero con le cetonie verdi. Il vento
portava odor di rose e di viole a
ciocche. Nel cuore, il languido fermento
dun sogno che notturno arse e che sera
allalba, nellignara anima, spento.
Maria, ricordo quella grave sera.
Laria soffiava luce di baleni
silenzļosi. Minoltrai leggiera,
cauta, su per i molli terrapieni
erbosi. I piedi mi tenea la folta
erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni!
Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
tanta, che, vedi
(laltra lo stupore
alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta
con un suo lungo brivido
) si muore!»
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