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Duke shfaqur rezultatin -19 deri 0 prej 7
  1. #1
    cherry blossom girl
    Anėtarėsuar
    14-05-2010
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    Giovanni Pascoli

    L'ASSIUOLO


    Dov’era la luna? ché il cielo
    notava in un’alba di perla,
    ed ergersi il mandorlo e il melo
    parevano a meglio vederla.
    Venivano soffi di lampi
    da un nero di nubi laggił;
    veniva una voce dai campi:
    chił...

    Le stelle lucevano rare
    tra mezzo alla nebbia di latte:
    sentivo il cullare del mare,
    sentivo un fru fru tra le fratte;
    sentivo nel cuore un sussulto,
    com’eco d’un grido che fu.
    Sonava lontano il singulto:
    chił...

    Su tutte le lucide vette
    tremava un sospiro di vento:
    squassavano le cavallette
    finissimi sistri d’argento
    (tintinni a invisibili porte
    che forse non s’aprono pił?...);
    e c’era quel pianto di morte...
    chił...

  2. #2
    cherry blossom girl
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    14-05-2010
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    IL GELSOMINO NOTTURNO

    E s’aprono i fiori notturni,
    nell’ora che penso a’ miei cari.
    Sono apparse in mezzo ai viburni
    le farfalle crepuscolari.

    Da un pezzo si tacquero i gridi:
    lą sola una casa bisbiglia.
    Sotto l’ali dormono i nidi,
    come gli occhi sotto le ciglia.

    Dai calici aperti si esala
    l’odore di fragole rosse.
    Splende un lume lą nella sala.
    Nasce l’erba sopra le fosse.

    Un’ape tardiva sussurra
    trovando gią prese le celle.
    La Chioccetta per l’aia azzurra
    va col suo pigolģo di stelle.

    Per tutta la notte s’esala
    l’odore che passa col vento.
    Passa il lume su per la scala;
    brilla al primo piano: s’č spento...

    Č l’alba: si chiudono i petali
    un poco gualciti; si cova,
    dentro l’urna molle e segreta,
    non so che felicitą nuova.

  3. #3
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    14-05-2010
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    I PUFFINI DELL'ADRIATICO

    Tra cielo e mare (un rigo di carmino
    recide intorno l’acque marezzate)
    parlano. Č un’alba cerula d’estate:
    non una randa in tutto quel turchino.

    Pur voci reca il soffio del garbino
    con ozļose e tremule risate.
    Sono i puffini: su le mute ondate
    pende quel chiacchiericcio mattutino.

    Sembra un vociare, per la calma, fioco,
    di marinai, ch’ad ora ad ora giunga
    tra ’l fievole sciacquģo della risacca;

    quando, stagliate dentro l’oro e il fuoco,
    le paranzelle in una riga lunga
    dondolano sul mar liscio di lacca.

  4. #4
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    14-05-2010
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    NOVEMBRE

    Gemmea l'aria, il sole cosģ chiaro
    che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
    e del prunalbo l'odorino amaro
    senti nel cuore...

    Ma secco č il pruno, e le stecchite piante
    di nere trame segnano il sereno,
    e vuoto il cielo, e cavo al pič sonante
    sembra il terreno.

    Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
    odi lontano, da giardini ed orti,
    di foglie un cader fragile. E' l'estate
    fredda, dei morti.

  5. #5
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    14-05-2010
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    TEMPORALE

    Un bubbolģo lontano ...

    Rosseggia l’orizzonte,
    come affocato, a mare:
    nero di pece, a monte,
    stracci di nubi chiare:
    tra il nero un casolare:
    un’ala di gabbiano.

  6. #6
    cherry blossom girl
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    14-05-2010
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    DALL'ARGINE

    Posa il meriggio su la prateria.
    Non ala orma ombra nell'azzurro e verde.
    Un fumo al sole biancica; via via
    fila e si perde.

    Ho nell'orecchio un turbinģo di squilli,
    forse campani di lontana mandra;
    e, tra l'azzurro penduli, gli strilli
    della calandra.

  7. #7
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    14-05-2010
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    DIGITALE PURPUREA

    Siedono. L’una guarda l’altra. L’una
    esile e bionda, semplice di vesti
    e di sguardi; ma l’altra, esile e bruna,

    l’altra… I due occhi semplici e modesti
    fissano gli altri due ch’ardono. «E mai
    non ci tornasti?» «Mai!» «Non le vedesti

    pił?» «Non pił, cara.» «Io sģ: ci ritornai;
    e le rividi le mie bianche suore,
    e li rivissi i dolci anni che sai;

    quei piccoli anni cosģ dolci al cuore…»
    L’altra sorrise. «E di’: non lo ricordi
    quell’orto chiuso? i rovi con le more?

    i ginepri tra cui zirlano i tordi?
    i bussi amari? quel segreto canto
    misterioso, con quel fiore, fior di…?»

    «morte: sģ, cara». «Ed era vero? Tanto
    io ci credeva che non mai, Rachele,
    sarei passata al triste fiore accanto.

    Ché si diceva: il fiore ha come un miele
    che inebria l’aria; un suo vapor che bagna
    l’anima d’un oblģo dolce e crudele.

    Oh! quel convento in mezzo alla montagna
    cerulea!» Maria parla: una mano
    posa su quella della sua compagna;

    e l’una e l’altra guardano lontano.

    II

    Vedono. Sorge nell’azzurro intenso
    del ciel di maggio il loro monastero,
    pieno di litanie, pieno d’incenso.

    Vedono; e si profuma il lor pensiero
    d’odor di rose e di viole a ciocche,
    di sentor d’innocenza e di mistero.

    E negli orecchi ronzano, alle bocche
    salgono melodie, dimenticate,
    lą, da tastiere appena appena tocche…

    Oh! quale vi sorrise oggi, alle grate,
    ospite caro? onde pił rosse e liete
    tornaste alle sonanti camerate

    oggi: ed oggi, pił alto, Ave, ripete,
    Ave Maria, la vostra voce in coro;
    e poi d’un tratto (perché mai?) piangete…

    Piangono, un poco, nel tramonto d’oro,
    senza perché. Quante fanciulle sono
    nell’orto, bianco qua e lą di loro!

    Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono
    di vele al vento, vengono. Rimane
    qualcuna, e legge in un suo libro buono.

    In disparte da loro agili e sane,
    una spiga di fiori, anzi di dita
    spruzzolate di sangue, dita umane,

    l’alito ignoto spande di sua vita.

    III

    «Maria!» «Rachele!» Un poco pił le mani
    si premono. In quell’ora hanno veduto
    la fanciullezza, i cari anni lontani.

    Memorie (l’una sa dell’altra al muto
    premere) dolci, come č tristo e pio
    il lontanar d’un ultimo saluto!

    «Maria!» «Rachele!» Questa piange, «Addio!»
    dice tra sé, poi volta la parola
    grave a Maria, ma i neri occhi no: «Io,»

    mormora, «sģ: sentii quel fiore. Sola
    ero con le cetonie verdi. Il vento
    portava odor di rose e di viole a

    ciocche. Nel cuore, il languido fermento
    d’un sogno che notturno arse e che s’era
    all’alba, nell’ignara anima, spento.

    Maria, ricordo quella grave sera.
    L’aria soffiava luce di baleni
    silenzļosi. M’inoltrai leggiera,

    cauta, su per i molli terrapieni
    erbosi. I piedi mi tenea la folta
    erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni!

    Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
    tanta, che, vedi… (l’altra lo stupore
    alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta

    con un suo lungo brivido…) si muore!»

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